Ambiente: Referendum sulle trivelle, votare SI per dire NO

Domenica 17 aprile 2016 saremo chiamati ad esprimere il nostro parere per il referendum abrogativo sulle trivellazioni, ovvero la consultazione popolare richiesta da nove regioni italiane per bloccare il rinnovo delle concessioni estrattive di gas e petrolio riguardanti i giacimenti situati entro le 12 miglia marittime (22,2 chilometri).A sostenere il referendum sono molte associazioni ambientaliste locali e nazionali come l’Associazione Comuni Virtuosi e il movimento NoTriv.

Trivelle foto

Di Greta Di Maria

#Trivellatuasorella è lo hashtag che, a poco più di un mese dal referendum indetto dai comitati locali e ambientalisti, cerca di aumentare le mobilitazioni contro le trivelle, prima di finire come i dinosauri. In vista ben sette concessioni soltanto in Sicilia.

Domenica 17 aprile 2016 saremo chiamati ad esprimere il nostro parere per il referendum abrogativo sulle trivellazioni, ovvero la consultazione popolare richiesta da nove regioni italiane per bloccare il rinnovo delle concessioni estrattive di gas e petrolio riguardanti i giacimenti situati entro le 12 miglia marittime (22,2 chilometri).A sostenere il referendum sono molte associazioni ambientaliste locali e nazionali come l’Associazione Comuni Virtuosi e il movimento NoTriv.

trivelle_canale_di_sicilia

A spiegare la scelta strategica di convocare il referendum in una data slegata dalla tornata amministrativa di primavera, aumentando i costi inutilmente e riducendo a dismisura lo spazio per un confronto trasparente e approfondito delle posizioni di merito dell’informazione necessaria, è l’evidente problema legato ad un sostanziale boicottaggio della partecipazione attiva delle comunità locali. Un problema di natura strettamente strategica per la nazione, che fa il paio con un secondo problema interamente ambientale. Politica energetica? Tutto dipende dal tipo di futuro che il nostro Paese vuole darsi, perché per definirsi politica energetica deve mantenere alto questo nome, stilando una seguente programmazione industriale in grado di emanciparci da un modello di sviluppo basato sulle fonti fossili, motivo di conflitti internazionali oltre ad essere dannosi e operosissimi per il saldo economico complessivo.

Tuttavia, in base alla legge infatti dovranno recarsi alle urne almeno la metà degli aventi diritto, in caso contrario il referendum non servirà a nulla. La domanda che verrà posta agli italiani sarà: “ Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”. La domanda si riferisce nel dettaglio all’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come modificato dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ( la legge di Stabilità 2016). Il suddetto articolo stabilisce infatti che “le attività di ricerca, di prosperazione, nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi” non siano consentite entro le 12 miglia marine, ma prevede anche la prosecuzione delle trivellazioni fino a quando il giacimento non si esaurisce.

Decine di esperienze locali hanno dimostrato che è possibile intraprendere il cammino della piena e concreta sostenibilità. Oltre a far girare e far espandere a macchia d’olio gli slogan che diffondono sane dichiarazioni di principio, adesso occorre mobilitarsi seriamente per rendere le eccezioni qualcosa di comune, una roba condivisa, per fare dell’Italia il primo Paese della Comunità europea pienamente autosufficiente da un punto di vista energetico.

In base a quanto previsto, gli impianti ad oggi esistenti potranno continuare a trivellare fino alla data di scadenza della concessione. Nel dettaglio la disciplina italiana prevede concessioni di durata trentennale, prorogabili per tre volte: la prima proroga è di dieci anni le altre due di cinque. Scaduti i 50 anni complessivi, le aziende hanno la possibilità di proseguire le trivellazioni, previa richiesta, fino all’esaurimento del giacimento. La vittoria del “sì” bloccherà  le concessioni entro le 12 miglia dalla costa italiana. Ma non da subito, bensì alla naturale scadenza dei contratti che dunque, non potranno essere ulteriormente prorogati.

Per saperne di più.
Quattro quinti del gas prodotto nel nostro Paese e un quinto del petrolio vengono estratti dal mare.
Parlando del gas, quest’ultimo serve a soddisfare circa il 10% del fabbisogno nazionale. Attualmente in Italia sono 66 le concessioni esistenti, delle quali 21 entro le 12 miglia marine. La sopravvivenza di queste ultime dipenderà dall’esito del referendum, mentre le altre 44 continueranno il loro lavoro senza essere intaccate dal voto del 17 aprile. Si tratta nel dettaglio di una concessione in Veneto, due in Emilia Romagna, una nelle Marche, due in Basilicata, tre in Puglia, cinque in Calabria e ben sette in Sicilia (Sicilia ed Emilia Romagna però non sono tra le Regioni promotrici del referendum, le altre cinque invece sì, insieme a Sardegna, Liguria, Campania e Molise).

In caso di vittoria dei Sì si potranno compiere nuove estrazioni e firmare nuove concessioni oltre le 12 miglia, così come i giacimenti sulla terra ferma.  Per quanto riguarda invece i giacimenti entro le 12 miglia, questi ultimi potranno continuare a lavorare fino alla scadenza delle concessioni, senza possibilità di proroga. Il voto riguarderà solo gli impianti esistenti dato che la legge vieta già nuove trivellazioni così come la costruzione di nuove piattaforme. Da sottolineare che, secondo uno studio effettuato dall’ISPRA e pubblicato da Greenpeace, tra il 2012 e il 2014 gli impianti in funzione avrebbero superato già i livelli stabiliti dalla legge per gli agenti inquinanti, senza che si siano verificate però significative ripercussioni sull’ambiente. I sostenitori del No ritengono, invece, che se l’articolo 6 venisse abrogato, bloccando dunque la proroga delle concessioni, il mercato italiano potrebbe risentirne in maniera ingente con impatto sugli investimenti e sulle imprese (e dunque anche sull’occupazione). Il comitato dei No sostiene inoltre che continuando l’estrazione di gas e petrolio offshore, si controlla proprio l’inquinamento, evitando il transito nei porti italiani di centinaia e centinaia di petroliere.

 


Inserito da Redazione 11 Marzo 2016
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